L’embolizzazione è una tecnica relativamente recente perché risale agli anni 60 e fa parte di una categoria ben più ampia che è compresa nel Grande Capitolo della radiologia interventistica.
La radiologia interventistica è infatti la vera e propria Branca chirurgica della radiologia.
Con il tempo la radiologia interventistica sta assumendo significati di grande rilievo in quanto permette, in maniera del tutto mininvasiva, di trattare patologie che fino a pochi anni fa potevano essere curate solamente attraverso tecniche chirurgiche tradizionali, ben più invasive e cruente.
La possibilità di intervenire sotto una guida radiologica, quindi consentendo al medico di vedere su uno schermo l’avanzamento dei materiali necessari ai vari interventi, ha quindi consentito una netta riduzione dei tagli e dei punti di sutura in quanto il materiale utilizzato è estremamente sottile e viene generalmente introdotto all’inguine o al polso, se si tratta di radiologia interventistica di tipo endovascolare.
La radiologia interventistica non è solamente una branca che si occupa di vasi o dotti, ormai con questa metodica è possibile trattare articolazioni e colonna vertebrale, ascessi, eseguire blocchi antalgici, rimuovere corpi estranei e molto altro.
La radiologia interventistica: ENDOVASCOLARE e NON VASCOALRE
In definitiva la radiologia interventistica può essere quindi suddivisa in due grandi capitoli:
- La radiologia interventistica endovascolare ( DI CUI FA PARTE ANCHE L’EMBOLIZZAZIONE)
- La radiologia interventistica non vascolare.
In entrambi i casi oltre la mininvasività dell’approccio, il grande vantaggio è la ridotta ospedalizzazione del paziente e l’utilizzo molto spesso della semplice anestesia locale per anestetizzare semplicemente il punto di ingresso del materiale interventistico.
Nei prossimi 20 anni è stato stimato che almeno il 70- 80% dei trattamenti per neoplasie benigne o maligne verranno trattate esclusivamente mediante radiologia interventistica.
Questo per rendere ancora meglio l’idea di quanto questa sicura ed efficace branca della medicina stia sempre di più guadagnandosi un posto d’onore all’interno dei trattamenti terapeutici.
In questo paragrafo dopo aver accennato alle pietre miliari della radiologia interventistica ci occuperemo più specificatamente dell’embolizzazione, oltre ad alcuni brevi cenni di storia illustreremo alcune delle patologie che possono essere brillantemente trattate con questa importante tecnica.
Pietre miliari della Radiologia Interventistica
Il 18 novembre 1895 fu una giornata di importanza storica. In un laboratorio di fisica nella parte meridionale della Germania, Conrad Wilhelm von Roentgen ( fig 1) scoprì accidentalmente i raggi X. I misteriosi raggi illuminarono la scienza medica e nacque la radiologia.
Da questa scoperta fortuita, le procedure minimamente invasive a guida d’immagine si sono evolute per fornire ai pazienti opzioni terapeutiche nella gestione delle malattie vascolari e non vascolari.
Anni prima un’altra pietra miliare era stata già posta nella storia della medicina e della radiologia interventistica.
Un dentista inglese, il Dr. Charles Stent, nel 1856 sviluppava un materiale termoplastico per prendere impronte di bocche senza denti ( fig 2). Questa procedura non fu altro che il capostipite di gran parte della protesica attuale, quindi anche del dispositivo endovascolare chiamato stent, dispositivo che, come vedremo, è ampiamente utilizzato per mantenere alcune arterie aperte (per esempio le coronarie affette da placche ateromasiche).
Il primo cateterismo vascolare percutaneo come tecnica endovascolare praticabile è stato descritto nel giugno 1952, quando Sven Ivar Seldinger ebbe l’ idea di sostituire un ago per arteriografia ( cioè lo studio delle arterie e delle vene che venivano punte e dove poi veniva iniettato un liquido “opaco” chiamato mezzo di contrasto e che poteva così mostrare l’anatomia dei vasi alle radiografie scattate in concomitanza) con un catetere vascolare che non era altro che un sottilissimo tubicino di plastica che poteva essere veicolato all’interno di vene ed arterie ( Fig. 3a, 3b).
Quando parliamo di embolizzazione in effetti parliamo proprio di un catetere vascolare che, sospinto fino all’arteria che deve essere occlusa, consente di iniettare nel punto specifico materiale chiamato per l’appuntomateriale embolizzante o di occlusione.
Avanzare un catetere all’interno di arterie o vene consente inoltre, attraverso materiali dilatativi, anche eventualmente di riaprire questi vasi come può essere necessario in caso di ostruzione degli stessi a livello delle coronarie, delle carotidi, e degli arti inferiori.
In definitiva il catetere vascolare ha duplice funzione, a seconda dei casi, di aprire un vaso ( carotidi, coronarie vasi di gamba) o piuttosto di andarlo a chiudere ( timori, sanguinamenti, malformazioni vascolari).
La tecnica della riapertura dei vasi, chiamata più propriamente rivascolarizzazione percutanea, avanzò rapidamente nel 1964 ( fig 4a e 4b), quando Charles Dotter utilizzò dilatatori coassiali “a punta di matita” per trattare una stenosi superficiale dell’arteria femorale.
Era iniziata l’era della rivascolarizzazione imaging guidata degli arti inferiori.
Sebbene Dotter abbia avuto successo nella dilatazione delle stenosi (cioè restringimenti del vaso) delle arterie femorali, l’uso di dilatatori coassiali “a punta di matita” (chiamati anche Van Andel Catheters) richiedeva necessariamente il progressivo allargamento del sito di puntura cutanea e arteriosa.
Lo sviluppo del palloncino per angioplastica ( un dispositivo che una volta all’interno dell’arteria veniva insufflato e la sua dilatazione andava così a riaprire il segmento ristretto) da parte di Andreas Gruentzig nel 1977 ha portato ad un altro importante passo avanti che ha cosi consentito di ridurre al minimo il sito di ingresso nella cute e soprattutto nell’ arteria che veniva punta ( Fig 5).
I primi progetti di palloncini da dilatazione endovascolare erano ostacolati da una dilatazione dei vasi irregolare e da frequenti rotture degli stessi. Tali eventi spesso portavano alla formazione di pseudo-aneurismi o a dissezioni arteriose ( cioè uno scollamento della tonaca interna dell’arteria su quella media) provocando così sanguinamenti o trombosi vascolare.
Lo stent metallico arterioso , ovvero quella rete tubulare che consente di mantenere aperto un vaso dopo che lo stesso sia stato dilatato con il palloncino, è stato inventato negli anni ’80 da Julio Palmaz presso l’Health Science Center dell’Università del Texas a San Antonio.
Il Dr. Palmaz ha descritto il suo stent nel 1985 e ha continuato a lavorare sul suo dispositivo nel 1986 ( fig 6).
Sviluppi successivi includevano l’uso di un modello di stent costituito da un unico tubo di acciaio inossidabile con fessure parallele sfalsate nella parete. Quando il tubo di acciaio inossidabile è stato ampliato, le fessure formavano spazi a forma di diamante che resistevano alla compressione arteriosa.
Questo design è diventato il primo stent approvato dalFood and Drug Administration (FDA) statunitense per uso vascolare.
Cronologia della Radiologia Interventistica
- 1856: Il dentista britannico Charles Stent sviluppa un materiale plastico per prendere le impronte della bocca (cioè crea un ‘ “impalcatura”) (fig 2.)
- 1895: La guida d’ immagine viene resa possibile dalla scoperta dei raggi X di Wilhelm Conrad Röntgen, 8 novembre 1895 ( fig 1)
- 1952: Sven Ivar Seldinger sviluppa il primo catetere vascolare percutaneo da cateterizzazione (fig 3)
- 1964: La rivascolarizzazione percutanea è ottenuta grazie a Charles Dotter che introduce l’utilizzo di dilatatori coassiali (fig 4)
- 1970: Un emboloterapia transcatetere viene eseguita da Charles Dotter per controllare il sanguinamento acuto del tratto gastrointestinale superiore.
- 1973: Lazar Greenfield introduce l’utilizzo del filtro per la vena cava (Fig. 1).
- 1977: Andreas Gruentzig esegue la prima angioplastica percutanea (fig 5)
- 1981: il giapponese Cato esegue il primo trattamento di Chemioembolizzazione epatica .
- 1985: Julio Palmaz sviluppa lo stent espandibile con palloncino endovascolare (fig 6).
- 1990: Juan C. Parodi, Julio C. Palmaz e H. D. Barone sviluppano lo stent – grafts ( stent ricoperto).
- 1995: Jacques Clerissi embolizza il primo fibroma uterino ( 1995). (fig 7)
EMBOLIZZAZIONE: come nasce e dove si applica
Dopo la necessaria e dovuta introduzione riguardo la radiologia interventistica, la branca della radiologia che come già sottolineato comprende anche l’embolizzazione, andiamo a vedere ora più specificatamente quali sono le patologie che possono essere trattate con l’embolizzazione e come si è arrivati ad ottenere questi risultati.
Come già accennato in precedenza l’embolizzazione vera e propria nasce negli anni 60′.
Furono Stanley Baum e Moreye Nusbaum ad inaugurare questo grande capitolo della storia della medicina.
Anche se già nel nel 1930 Brooks riportò l’embolizzazione di una fistola carotideo-cavernosa, che potrebbe essere considerato il capostipite degli interventi embolizzazione, è comunque nel 1960 che viene eseguito il primo vero e proprio intervento di embolizzazione ( fu eseguito per un sanguinamento gastro intestinale acuto).
Fino dall’inizio del 1970 molte intuizioni derivate dalla tecnica di Seldinger erano state tentate per controllare il sanguinamento gastrointestinale, come l’angiografia selettiva percutanea ( percutanea significa con accesso attraverso la cute mediante una semplice puntura) arteriosa e l’infusione arteriosa di vasopressina mediante cateterizzazione.
Nel 1970 Charles Dotter ( fig 4) utilizzò un coagulo autologo come primo materiale embolizzante per controllare un sanguinamento gastrointestinale a partenza dalla arteria gastroepiploica in un paziente che non poteva essere trattato chirurgicamente ( fig 4).
Dagli anni 70 in poi, quindi, l’embolizzazione viene sempre più considerata una validissima alternativa terapeutica per il trattamento di sanguinamenti gastrointestinali, anche in regime di urgenza.
Nel 1974 il radiologo interventista americano Robert White utilizza questa tecnica per il controllo di un sanguinamento di un ulcera duodenale in un paziente dove l’infusione intra-arteriosa di vasopressina si era dimostrata inefficace nel bloccare l’emorragia.
Negli anni 80′ si cominciò ad utilizzare l’embolizzazione anche per l’infusione di chemioterapici all’interno dell’arteria epatica per il trattamenti dell’epatocarcinoma.
Questo tipo di embolizzazione che prende il nome di chemioembolizzazione permetteva di veicolare il chemioterapico proprio all’interno della neoplasia, rendendo quindi questo tipo di chemioterapia altamente più efficace dell’infusione del chemioterapico per via intra arteriosa locale.
Fu il giapponese Cato nel 1981 ad embolizzare con microcapsule contenenti chemioterapico e inferiori ai 200 micron il capostipite della chemioembolizzazione.
La chemioembolizzazione dei tumori epatici è oggi ampiamente utilizzata dopo essere stata negli anni sempre più migliorata, come del resto i materiali dedicati a questo efficace approccio terapeutico.
L‘embolizzazione dagli anni 80′ comincia quindi a prendere piede sempre in più ambiti, per esempio nel trattamento del varicocele maschile e pochi anni dopo anche in quello del varicocele femminile o congestione pelvica.
Si intuisce che molto spesso alcune neoplasie anche se non possono completamente guarire attraverso l’embolizzazione possono essere comunque trattate con questa tecnica per facilitare un successivo intervento chirurgico di enucleazione delle stesse o quando inoperabili e causa di forti emorragie.
E’ poi dal 1990 che l’embolizzazione comincia a guadagnare più ampi consensi grazie all’introduzione della tecnica anche nel campo delle neoplasie benigne come per esempio nel campo del fibroma uterino dove il dottor Jacques Clerissi, radiologo, insieme al dottor Ravina ginecologo, nel 1995 embolizza il primo fibroma in una donna sintomatica che non era propensa all’esportazione dell’ utero ( fig 7).
Dall’embolizzazione del fibroma uterino si passa poi all’embolizzazione dell’adenomiosi fino ad arrivare ad utilizzare questo trattamento anche per l’ipertrofia prostatica e la patologia emorroidaria.
L’ embolizzazione può comunque essere utilizzata in altri i campi come per esempio nelle malformazioni vascolari del cervello o della colonna ed è tecnica assolutamente di rilievo per trattare alcunemalformazioni venose o arterovenose in tutti i distretti corporei.
Nel panorama italiano sono diversi i medici che negli anni si sono susseguiti e hanno contribuito a sviluppare l’embolizzazione, uno di questi il Professor Luciano Lupattelli già presidente della società italiana di radiologia interventistica e successivamente il dottor Tommaso Lupattelli (allievo di Jacques Clerissi inventore dell’embolizzazione uterina) che ha fortemente contribuito a sviluppare alcuni tipi di embolizzazione nel nostro paese in particolare l’embolizzazione in ambito pelvico.
Ad oggi il team di embolizzazione del dottor Tommaso Lupattelli possiede la più ampia casistica a livello italiano per quanto riguarda l’intervento di embolizzazione del fibroma uterino e dell’ dell’adenomiosi.
Inoltre il team ha una grande esperienza sia per quanto riguarda la congestione pelvica ed il varicocele maschile sia per quanto riguarda le embolizzazioni di prostata, emorroidi, ginocchio e spalla per artrosi.
Il team di embolizzazione possiede inoltre una qualificata esperienza nel trattamento delle malformazioni vascolari nella fattispecie le malformazioni venose e le malformazioni artero venose.